martedì 10 novembre 2015

‘Ndrangheta in Emilia Romagna




E’ iniziato in questi giorni a Bologna, con grande enfasi mediatica, il maxi processo per l’operazione Aemilia, che mette in luce la capillare penetrazione delle ‘ndrine calabresi nel tessuto socio-economico dell’Emilia Romagna. nello specifico, si tratta del clan dei Grande-Aracri, che opera fra Cutro e Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. L’analisi di questo caso è interessante, perché dimostra le caratteristiche tipiche dell’infiltrazione mafiosa a Nord.
La Grande Aracri nasce, come ‘ndrina, negli anni novanta, da una scissione della storica ‘ndrina dei Dragone, per contrasti relativi al traffico di stupefacenti. La seconda guerra di ‘Ndrangheta è finita, portando a nuovi equilibri, si cercano modalità di composizione che porteranno, negli anni, ad una struttura organizzativa in grado di controllare tutto e mediare fra i conflitti interni. Ma nel crotonese  gli equilibri sono ancora precari. Nel 1990, Cutro si bagna di sangue. Ci vanno di mezzo anche gli innocenti. Il killer di origine emiliana Paolo Bellini, affiliato alla ‘Ndrina, ammazza, a settembre di quell’anno, un giovane pescivendolo, sul lungomare di Crotone, per un banale litigio stradale. La sua presenza a Crotone mostra come i Grande Aracri siano già insediati in Emilia.
A livello locale, la ‘ndrina emergente si consolida rapidamente, stringendo alleanze. Con i Vrenna di Crotone, storici padroni della città, stringono un accordo per la spartizione al 50% dei proventi di tutti i traffici illeciti della città, tramite “Gnègnè” Bonaventura, fiduciario dei Vrenna stessi. Si stringe un accordo con i Nicoscia di Isola di Capo Rizzuto, e da quella che è considerata la capitale della ‘Ndrangheta, il paese aspromontano di San Luca, il boss dei boss, “Gambazza” Antonio Pelle conferisce a Nicolino Aracri il titolo di “crimine”, sostanzialmente colui che, nella società maggiore, organizza le faide e le ritorsioni. Un titolo molto importante, che lo investe della responsabilità di radicare in Emilia Romagna l’intero sistema delle alleanze delle ‘ndrine reggine e della Locride, dai citati Pelle ai Di Stefano.
Ed inizia l’espansione sistematica a Nord, sancita dagli omicidi. A Brescello, il paese di Peppone e don Camillo, nel 1992 viene ammazzato Giuseppe Ruggiero, catanzarese pregiudicato. La zona di Reggio diventa un far west. Come nasce l’attenzione per l’Emilia Romagna? nel modo più tradizionale, ovvero il trasferimento per residenza coatta. Nel 1982, infatti, viene trasferito in soggiorno obbligato, nel reggiano, il boss Francesco Aracri, detto “Manuzza”, ufficialmente bidello, fratello di Nicolino. Rimanendo lì, stringe conoscenze con il sottobosco criminale locale, trova coperture nelle parti non sane delle, altrimenti oneste, comunità di emigrati cutresi.
Ed inizia una vera e propria clonazione dell’apparato organizzativo della ‘Ndrina di Cutro nelle nuove terre di conquista, replicando fedelmente strutture, uomini e gerarchie, oltre che i riti di affiliazione. I legami con la politica si fanno inquietanti. Gli inquirenti ricostruiscono le numerose e strane “discese” di politici reggiani a Cutro in quegli anni, per presenziare alla processione. Manco fosse il carnevale di Rio. 
Ad ogni modo, in Emilia Romagna la ‘ndrina tesse una serie di affari molto lucrosi, dal trasporto di rifiuti pericolosi dal Nord vero la Terra dei Fuochi, al racket, all’influenza sugli appalti pubblici per far entrare imprese collegate, soprattutto con il business della ricostruzione dopo il sisma del 2012, ed in primis nel movimento terra. "È caduto un capannone a Mirandola"; "eh allora lavoriamo là" è la risposta accompagnata ridendo. "Ah si, cominciamo facciamo il giro...". Questo un particolare estrapolato dalla intercettazione di un colloquio tra due degli indagati della cosca Aracri.
Gli affari illeciti producono un fiume di denaro riciclato negli immobili, nei terreni agricoli, in strutture turistiche. Ed altrettanto tipico, si mantiene saldo il rapporto con la ‘ndrina di provenienza, nel frattempo impegnata in una nuova faida con i Dragone e gli Arena, in terra natia. Una parte dei proventi, infatti, viene spedito in Calabria tramite un ingegnoso sistema di false fatturazioni fra imprese legate al clan. Anche questo è un tratto classico, le ‘Ndrine operano su diversi piani, anche nazionale ed internazionale, ma il radicamento nel territorio di origine rimane strategico, non solo per motivi affettivi, o per l’ovvia conseguenza della struttura fortemente familistica della ‘Ndrangheta, che la contraddistingue rispetto ad altre mafie, ma molto pratici: il livello locale fornisce gruppi di fuoco affidabili, possibilità di nascondere e proteggere i latitanti, nuove leve (Giap Parini, 2012).
A gennaio 2015, la ‘ndrina viene decapitata: a seguito dell’operazione Aemilia, infatti, vengono arrestate 160 persone in Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia delle procure di Bologna, Catanzaro e Brescia tra cui affiliati dei Grande Aracri e il presunto capo della locale di Reggio Emilia, nonché il capogruppo di Fi di Reggio Emilia. Gli arrestati sono accusati di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti. A Luglio 2015, nuova fase dell'operazione Aemilia: nove arresti, un sequestro di nove società, beni e attività commerciali per oltre 330 milioni di euro, e un altro sequestro di beni per circa mezzo milione di euro. Cadono nella rete anche dei giornalisti locali, accusati di fare campagne mediatiche per proteggere la ‘Ndrina (evidenziando la capacità di comunicazione che tale organizzazione detiene), ed avvocati accusati di fare indebite pressioni per ottenere decisioni favorevoli nei processi. Si ipotizza una spartizione territoriale sul modello delle Locali, con tre capi-locale su Reggio Emilia, Parma e Modena. Il processo inizia subito nel modo classico, con richieste di spostarlo a Catanzaro, il boss Aracri che si sente male e vuole essere trasferito in ospedale, gli avvocati intenti ad affermare che l’Emilia Romagna non è affetta da infiltrazioni mafiose, gli imputati che si difendono affermando di essere semplici emigranti.
Ovviamente si apre uno spazio, per l’insediamento di nuove realtà. L’Emilia Romagna è già oggi affetta da altre presenze, come le ‘Ndrine Bellocco e Mancuso su Bologna, i Farao-Marincola su Ferrara, e così via (fonte. Mappa della mafia in Emilia Romagna). Senza contare la forte presenza camorristica. 

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